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Freni a disco: tutto (ma proprio tutto) quello che c’è da sapere No ratings yet.

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Dai tempi in cui la bicicletta era un mezzo popolare di locomozione, preceduti dal periodo del dopo guerra, quando addirittura era un lusso tanto da ispirare il celeberrimo film di Vittorio De Sica “Ladri di biciclette”, il velocipede si è evoluto fino a raggiungere gli attuali livelli di tecnologia spinta.
Le attuali bike sono il risultato di anni di perfezionamento, cura nei dettagli e scelta dei materiali; la moderna ingegneria ci propone modelli partoriti da una selezione estrema, quasi maniacale e permanentemente alla ricerca del prototipo perfetto.


Le incredibili performance del ciclismo attuale consentono velocità, controllo ed un rapporto molto favorevole tra energia impiegata e prestazioni.
Come in tutte le macchine adibite al trasporto o alla competizione, la componente probabilmente più importante è il sistema frenante, quale strumento di controllo della velocità in rallentamento della corsa, fino all’arresto all’occorrenza anche brusco e immediato.

 

Dalle auto alle MTB

Le Mountain Bike oggi in commercio sono dotate di freni a disco, in tutto e per tutto identici a quelli che montano le automobili e le moto; la totale affidabilità e la modularità in frenata ne hanno praticamente sancito il connubio, difficilmente ritroviamo qualche Mountain Biker che utilizzi ancora i classici pattini.
La scelta è dovuta alla maggior forza frenante a svantaggio di un’aggravio di peso di poche centinaia di grammi del tutto trascurabili, oltre ad una maggior resistenza all’acqua e al fango.
Il ciclismo su strada non ha invece adottato questa soluzione, per motivi di peso, di semplicità nel cambio della ruota e perché l’UCI non ha ancora espresso un chiaro parere in merito all’utilizzo di questi nel corso di competizioni ufficiali, anche se alcuni produttori cominciano a montarli sulle bici da trekking e nel cicloturismo.
Tuttavia i vantaggi che ne derivano sono chiari ed inequivocabili, anche se in linea di principio la forza atta all’operazione di rallentamento, se applicata direttamente sulla porzione periferica del cerchio, costituirebbe una leva più vantaggiosa rispetto ad una forza applicata su una porzione medio-centripeta della ruota.
Ma è la potenza del sistema frenante nel suo complesso a fare la differenza, ad un’attenta valutazione le varie componenti del gruppo frenante del sistema a disco, evidenzia una serie di vantaggi che almeno sulle MTB, costituisce una scelta difficilmente opinabile.

Il circuito idraulico

A differenza dei tradizionali cantilever o V-brake che sono ancorati al telaio, la struttura dei freni a disco è composta da un rotore installato sul mozzo che gira all’interno di una pinza composta da due pastiglie di ferodo, che all’atto della frenata si stringono incarcerando il disco, rallentandolo fino a fermarlo all’occorrenza.
Lo stress shielding provocato genera calore che in parte annienta l’attrito; ciò richiede l’impiego di materiali che disperdano rapidamente l’energia termica prodotta.
La pinza che gestisce la spinta delle pastiglie sul rotore può essere azionata sia tramite una trasmissione a filo metallico generalmente composto da un cavetto di acciaio inox da 1,6 mm, sia da un sistema idraulico chiuso, composto da un circuito ad olio (DOT o minerale) che spinge le pastiglie tramite due pistoncini.
Il sistema idraulico è certamente il più performante, poiché presenta delle caratteristiche di modulabilità notevoli a differenza del sistema a cavo, che rende al meglio solo a fine corsa. Inoltre la potenza trasmessa alla pinza è molto maggiore nel sistema idraulico.
Mentre il sistema di azionamento a cavo richiede una manutenzione quasi nulla tranne un’opportuna, ciclica lubrificazione del filo che scorre nella guaina, il circuito idraulico richiede particolare cura dal momento che è suscettibile di infiltrazioni di aria che ne potrebbero compromettere l’efficienza. Inoltre eventuali perdite di olio dai pistoncini risultano corrosive sia per le pastiglie che nei confronti del rotore.
Il serbatoio che contiene l’olio del circuito è posizionato sul manubrio, sotto la leva del freno. Questi è dotato di una valvola di spurgo che va periodicamente azionata per assicurarsi della fuoriuscita di eventuali bolle d’aria presenti all’interno del circuito.
Mentre le guaine di contenimento dei cavetti di acciaio sono composte da un rivestimento interno antigrippaggio in PTFE, quelle idrauliche dovendo assorbire le alte forze di espansione esercitate dalla pressione dell’olio, sono composte di kevlar o da una tela speciale rinforzata da una struttura in acciaio filiforme a maglia stretta.

I componenti del sistema e i materiali

Per poter installare i freni a disco su una MTB esistono tre tipi di adattatori:

  • IS (International Standard) ad ancoraggio laterale e distanza tra i fori di fissaggio di 51 mm; la regolazione delle pinze per sopperire ad eventuali errori di centraggio è minima.
  • PM (Post Mount) a fissaggio frontale e distanza tra i fori delle viti di 74 mm, molto duttile la

regolazione in tutte le direzioni; eccellente il recupero degli errori di centraggio delle pinze.
L’IS è montato sul posteriore di tutti gli chassis, mentre le PM sono comunemente utilizzate sulle forke, ma sono intercambiabili all’esigenza tramite adattatori.
Per passare da una misura all’altra di disco esistono i seguenti adattatori:

  • Anteriore: IS-PM, PM-PM, IS-IS.
  • Posteriore: IS-PM, IS-IS.

Le pastiglie poste sulla pinza sono composte da una struttura metallica rivestita di ferodo, che va ad opporsi alla forza rotante della ruota ed è soggetto ad usura.
In base ai materiali che li compongono, i ferodi si distinguono in:

  • Organici, una miscela di gomma e resine che lavora bene a freddo.
  • Semi-metallici, di una durezza media che ne aumenta la modulabilità; vengono utilizzati in genere su impianti di media potenza.
  • Metallici, realizzati in metallo sintetizzato, sono molto duri ma risultano più modulabili delle altre; per rendere al meglio hanno bisogno di essere portate in temperatura.

A meno di tracciati ed esigenze particolari, le pastiglie più utilizzate e durevoli sono quelle organiche.
Il rotore è un cerchio metallico installato direttamente sul mozzo e fissato con delle spine che si introducono sui filetti dello stesso oppure tramite una ghiera.
I diametri dei dischi vanno da da 140 mm fino a 220, i più utilizzati sono quelli da 160 e 180 mm, mentre diametri superiori sono utilizzati nelle discipline gravity come enduro o downhill.
Le caratteristiche di pregio di un rotore sono il peso e la capacità di dissipazione del calore del materiale di cui è composto.

  • L’acciaio è il materiale più comune, associando l’aspetto economico alla bassa manutenzione di cui necessita; a suo svantaggio il peso notevole e la scarsa conduzione termica.
  • Il titanio è un ottimo componente, certamente il migliore in termini di leggerezza, performance e dispersione termica; i prezzi proibitivi e la durezza che determina un’usura insostenibile delle pastiglie, ne limitano l’utilizzo all’interno di circuiti professionali.
  • Il carbonio è un componente molto performante, leggero e con una conduzione termica molto elevata;

il costo è impegnativo e per andare a regime occorre riscaldare bene i dischi. Questi ultimi sono maggiormente indicati per biker molto esigenti e soprattutto competenti, dal momento che il loro impiego richiede una preparazione avanzata.
L’associazione tra due di questi metalli spesso genera un compromesso accettabile.
Il design del rotore contribuisce in misura notevole alla leggerezza e alla dispersione termica, caratteristiche che determinano la validità di un disco-freno.
La gamma dei design è vastissima, si va dai dischi forati a forme elaborate, fino a quelli a margherita.
I fori praticati sulla pista del disco oltre alla leggerezza e ad una più rapida dispersione termica, contribuiscono ad interrompere il velo d’acqua in caso di marcia su bagnato, aumentando così il grip.
Per massimizzare l’effetto dei fori, sono stati creati dischi con incisioni maggiori onde aumentare gli spigoli sulla superficie frenante, con incremento della potenza e dell’aerazione, ostacolando la formazione di fango sulla pista, oltre che ovviamente limitare il peso del rotore stesso.
I dischi si suddividono ancora in monoblocco e flottanti, cioè composti da un’unico pezzo e materiale oppure da due pezzi, cioè pista frenante e spider collegati tramite rivetti e nottolini.
Il diametro dei dischi può essere diverso tra anteriore e posteriore; la combinazione viene scelta dal biker e adattata ai vari percorsi.

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